Benozzo Gozzoli, Le triomphe de saint Thomas d'Aquin, 1471

lundi 24 mars 2014

Il passaggio dall’ente al trascendentale «cosa» (res)

            Nonostante la familiarità che abbiamo con la nozione di res, o forse proprio per questo motivo, il suo preciso rapporto alla ratio entis non è facile da discernere. Certamente l’Aquinate la annovera esplicitamente fra i transcendentia in due luoghi ben noti ai tomisti[1]. Però, è un fatto che molti elenchi delle proprietà dell’ente non fanno alcuna menzione della res, e che nessun testo chiarisce, neanche genericamente, il tipo di additio che la differenzierebbe, per noi, dallo ens. Ciò consentì a diversi studiosi, come ad esempio il P. Abelardo Lobato, di ritenere che la res fosse un trascendentale solo in quanto è convertibile con l’ente, ma che tuttavia non fosse, in senso rigoroso, un per se accidens entis, perché sarebbe un semplice sinonimo che non aggiungerebbe alcuna relatio rationis alla nozione di ente, e che dunque non manifesterebbe nulla di nuovo all’intelletto[2]. Dal punto di vista testuale, questa esegesi sembra un può forzata, giacché i concetti di ens e di res si distinguono in virtù dai due principi che, nell’ente per partecipazione, sono realmente diversi. Tommaso lo afferma nella sua gioventù come nella sua maturità:

hoc nomen ens et res differunt secundum quod est duo considerare in re, scilicet quidditatem et rationem ejus, et esse ipsius; et a quidditate sumitur hoc nomen res[3]

hoc nomen Res imponitur a quidditate tantum ; hoc vero nomen Ens imponitur ab actu essendi; et hoc nomen Unum, ab ordine vel indivisione. […] Unde ista tria, res, ens, unum, significant omnino idem, sed secundum diversas rationes[4].

Il senso ovvio del secondo brano appena citato è che la cosa, l’ente, e anche l’uno, significano la stessa realtà, vale a dire ciò che è, ma sotto diverse rationes, per cui non possiamo negare che ci sia una diversità nozionale fra l’ente e la cosa. È tuttavia vero che la res, diversamente da tutti gli altri trascendentali, non fa appello ad alcuna nozione che non sia già presente nella descrizione elementare e sintetica dello ens come id quod est:

‘ens’ nichil aliud est quam ‘quod est’, et sic uidetur <et> rem significare, per hoc quod dico <‘quod’, et esse, per hoc quod dico> ‘est’[5].

Il lemma |ens| significa dunque la cosa insieme al suo essere in atto; però la derivazione stessa del termine a partire dal verbo esse (senza entrare nella controversia scolastica fra lo  ens ut nomen e lo ens ut participium) fa sì che questo termine enfatizza lo est, e lascia il quod in secondo piano. All’opposto, il termine |res| esprime, anche nel linguaggio comune, la quiddità ossia, in primo approccio, il contenuto dell’ente, il quale è per definizione inseparabile dall’essere che ne è il contenente. Perciò, il passaggio dall’ens alla res non si fa attraverso una terza nozione, come avviene successivamente con la privatio divisionis che media l’ente e l’uno, poi a fortiori con l’intelligibilità e l’appetibilità che costituiscono il vero e il bene: qui, occorre solo mostrare che l’ente non può non avere una determinazione che indica ciò che esso è. In questa prospettiva, la res appare come il risultato della prima riflessione che si può istituire sull’ente, quella che nel quod est oggettiva il quod dal quale l’ente riceve la sua determinazione specifica[6].
            Questo ritorno sul contenuto dell’ente implica, o no, una vera additio rationis, che nella fattispecie deve essere una relatio rationis, poiché non si dà nulla di negativo in questo caso? Siccome il legame fra la cosa e l’ente è totalmente interno a questo ultimo, il modello più vicino al problema, nel corpus thomisticum, è quello della relazione di identità, di cui l’Aquinate ci dice che è di ragione, perché risulta dalla duplicazione, nella riflessione, di un oggetto in sé uno[7]. Così diciamo che qualcosa è lo stesso di sé stesso, considerando che l’ente è una sola cosa con sé stesso, ed operando allora un paragone dell’ente con sé grazie all’uno. Questa procedura sbocca sulla nozione di idem, nella quale il Dottore Comune vede, insieme al diversum, una proprietà disgiuntiva dell’ente in quanto ente[8]. Il rapporto fra lo ens e la res ha una certa somiglianza con l’identità, in quanto tutte e due le nozioni si lasciano analizzare come id quod est, cosicché i due estremi del rapporto si risolvono nella stessa descrizione; però il loro rapporto non è formalmente una relazione di identità, in quanto il passaggio dall’ente alla cosa viene operato, nel primo articolo del De veritate[9], anteriormente alla nozione di uno, e quindi di quella di stesso, senza la quale non c’è identità in senso stretto. Infatti, la res non fa che esplicitare il contenuto dello ens, manifestando che lo esse di questo ultimo è determinato dalla propria essenza: il quod quid erat esse, che costituisce la sostanza, ma che può essere analogicamente esteso agli accidenti, non è altro che la misura di essere per ciò che è. Se operiamo una duplicazione, in seno all’unico id quod est, fra lo est da una parte, e il quod d’altra parte[10], possiamo considerare che la nozione di res risulta dal respectus che collega l’ente in quanto ente alla sua determinazione, cioè lo esse in actu dello ens al suo quid est. Così la res andrebbe definita come ens quid, per analogia con l’unum, che è invece lo ens indivisum.




[1] Cf. Scriptum super libros Sententiarum I, d. 2 q. 1 a. 5 ad 2: «res est de transcendentibus, et ideo se habet communiter ad absoluta et ad relata»; ST I, q. 39 a. 3 ad 3: «hoc nomen res est de transcendentibus».
[2] Cf. Abelardo LOBATO, Ontologia, Pars Prima, Pontificia Università di San Tommaso, Roma 19912, 187-189.
[3] Scriptum super libros Sententiarum I, d. 25 q. 1 a. 4c. Cf. op. cit. I, d. 8 q. 1 a. 1c.
[4] Sententia super Metaphysicam IV, lc. 2 n. 6 (Marietti, n. 553).
[5] Expositio Libri Peryermenias I, lc. 5 l. 363-365. Abbiamo riportato il testo esattamente come viene ricostituito dalla Leonina.
[6] Così va capita la nota formula di Sententia super Metaphysicam IV, lc. 2 n. 11 (Marietti, n. 558): «Esse enim rei quamvis sit aliud ab eius essentia, non tamen est intelligendum quod sit aliquod superadditum ad modum accidentis, sed quasi constituitur per principia essentiae. Et ideo hoc nomen Ens quod imponitur ab ipso esse, significat idem cum nomine quod imponitur ab ipsa essentia» (corsivo nostro).
[7] Cf. QD De potentia, q. 7 a. 11c: «Quandoque vero accipit unum ut duo, et intelligit ea cum quodam ordine: sicut cum dicitur aliquid esse idem sibi; et sic talis relatio est rationis tantum».
[8] Cf. Super Boetium De Trinitate, q. 4 a. 1 ad 3, già citato supra nella nota 9. Vedasi pure Sententia super Metaphysicam X, lc. 4 n. 35 (Marietti, n. 2015): «Sed in omnibus entibus dicitur idem aut diversum. Omne enim quod est ens et unum in se, comparatum alteri, aut est unum ei, et sic est idem; aut non unum, aptum natum esse unum, et sic est diversum».
[9] Cf. QD De veritate, q. 1 a. 1c: «non autem inuenitur aliquid affirmatiue dictum absolute quod possit accipi in omni ente nisi essentia eius secundum quam esse dicitur, et sic imponitur hoc nomen res, quod in hoc differt ab ente, secundum Auicennam in principio Metaphysicae, quod ens sumitur ab actu essendi sed nomen rei exprimit quidditatem uel essentiam entis».
[10] Nello stesso senso, cf. Ludger OEING-HANHOFF, «Res comme concept transcendantal et sur-transcendantal», in M. FATTORI – M. BIANCHI (ED.), Res, III° Colloquio Internazionale, Roma, 7-8 gennaio 1980, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1982, 287: «Chez S. Thomas la signification exacte du terme ‘res’ est inséparable de la conception originale de l’étant. Selon lui, le concept ‘étant’ exprime id quod est, c’est-à-dire une essence individuelle en tant qu’elle est ou accomplit [ testo  originale : “accompie”] l’acte d’être. Du côté de l’acte d’être ce qui est, est appelé ‘étant’ (ens), du côté de l’essence il est appelé ‘res’».

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