Questo blog è intitolato participatio,
perché vediamo nella partecipazione sia la cifra della creazione dell’universo
che della santificazione delle creature spirituali. Per questa ragione, ci
sembra pure che il Concilio Vaticano II debbono essere lette in questa chiave.
In questa nota, proponiamo un breve inventario delle novità conciliari che
sollecitano l’attenzione del teologo in questa direzione.
a) Il subsistit in della
costituzione dogmatica Lumen Gentium ed
altri documenti
Come è
risaputo, la Costituzione dogmatica Lumen
Gentium ha voluto superare la definizione bellarminiana della chiesa come
società, con una visione più profonda, in cui la Chiesa viene contemplata,
secondo una scansione trinitaria, come popolo di Dio (di Dio Padre), corpo di
Cristo, e tempio dello Spirito. In questa concezione, la Chiesa cattolica viene
considerata come ciò in cui sussiste la Chiesa di Cristo:
Haec Ecclesia, in hoc mundo ut societas
constituta et ordinata, subsistit in Ecclesia catholica, a successore Petri et
Episcopis in eius communione gubernata, licet extra eius compaginem elementa
plura sanctificationis et veritatis inveniantur, quae ut dona Ecclesiae Christi
propria, ad unitatem catholicam impellunt[1].
La stessa dottrina
viene ribadita ben altre due volte nei documenti del Concilio: nel Decreto Unitatis Redintegratio sull’ecumenismo[2],
poi nella dichiarazione Dignitatis
humanae sulla libertà religiosa «Hanc unicam veram religionem subsistere
credimus in catholica et apostolica Ecclesia»[3].
«Ecclesia [...] subsistit in Ecclesia catholica»: quale senso dobbiamo
assegnare al verbo subsistit? Il
significato comune, non ancora tecnico, del termine sarebbe «ha consistenza»;
ma ciò che dà consistenza ontologica a qualcosa non essendo altro, per il
teologo che sa di metafisica, che l’essere, non possiamo non tradurre questa
celebre affermazione, nella presente ricerca, dicendo che «la Chiesa di Cristo
ha propriamente l’essere nella Chiesa cattolica»[4].
Tale interpretazione ci permette di comprendere che, da un lato, la Chiesa di
Cristo viene realizzata in pienezza solo nella Chiesa cattolica, e poi che,
d’altro lato, ci sono elementi di santificazione e di verità al di fuori di
quest’ultima. Questi elementi, come indica la stessa parola, sono per natura
loro parziali, e dunque vanno interpretati come partecipazioni a ciò che
sussiste nella Chiesa cattolica, sia dal punto di vista del loro essere che da
quello del loro dinamismo, poiché essi «spingono all’unità cattolica».
La nostra lettura può appoggiarsi su
un importante documento della Congregazione per la Dottrina della Fede del 29
giugno 2007, approvato e confermato dal papa Benedetto XVI:
Dum secundum doctrinam catholicam recte
dici potest, Ecclesiam Christi in Ecclesiis et communitatibus ecclesialibus
nondum plenam communionem cum Ecclesia catholica habentibus ad esse et operari
propter sanctificationis et veritatis elementa quae in illis sunt, verbum
"subsistit" soli Ecclesiae catholicae ut singulare tantum
attribuitur, quia refertur nempe ad notam unitatis in symbolis confessam
(Credo…unam Ecclesiam); quae Ecclesia una subsistit in Ecclesia catholica[5].
Sebbene il verbo
«partecipare» non venga usato né nel numero 8 della Lumen Gentium, né nella nota della C.D.F., questi documenti
insegnano chiaramente che la Chiesa cattolica beneficia, in questo mondo, della
totalità dei mezzi di salvezza, mentre le comunità acattoliche ne hanno solo
una parte. Quando queste hanno conservato intatti il sacerdozio ministeriale e
l’eucaristia, sono delle vere Chiese, mentre sono soltanto delle comunità
ecclesiali quando ne sono private[6].
b) I media salutis del
decreto Unitatis Redintegratio
Il decreto sull’ecumenismo elenca
diversi mezzi di salvezza presenti ed operanti al di fuori dei confini visibili
della Chiesa cattolica:
Nihilominus, iustificati ex fide in
baptismate, Christo incorporantur, ideoque christiano nomine iure decorantur,
et a filiis Ecclesiae catholicae ut fratres in Domino merito agnoscuntur. Insuper
ex elementis seu bonis, quibus simul sumptis ipsa Ecclesia aedificatur et
vivificatur, quaedam immo plurima et eximia exstare possunt extra visibilia
Ecclesiae catholicae saepta: Verbum Dei scriptum, vita gratiae, fides, spes et
caritas, aliaque interiora Spiritus Sancti dona ac visibilia elementa: haec
omnia, quae a Christo proveniunt et ad Ipsum conducunt, ad unicam Christi
Ecclesiam iure pertinent. [...] Proinde ipsae Ecclesiae et Communitates
seiunctae, etsi defectus illas pati credimus, nequaquam in mysterio salutis
significatione et pondere exutae sunt. Iis enim Spiritus Christi uti non renuit
tamquam salutis mediis, quorum virtus derivatur ab ipsa plenitudine gratiae et veritatis quae Ecclesiae catholicae
concredita est[7].
Il primo fondamento di
questa comunione imperfetta non solo con gli altri singoli cristiani, ma anche
con le altre comunità cristiane, si trova nel binomio di fede interiore e di
battesimo esteriore, che già rispecchia la natura incarnata della Chiesa. Nel
seguito del brano si elencano, nella stessa unità / dualità di interiorità e di
esteriorità la vita della grazia con la fede, la speranza e la carità, da una
parte, poi la Parola scritta di Dio, d’altra parte. Il documento sottolinea che
questi doni interiori ed elementi visibili provengono da Cristo ed a Lui
conducono; poi, un può più avanti, una formula molto bilanciata precisa che la
virtù salvifica di questi mezzi di santificazione deriva dalla pienezza di
grazia e di verità «quae Ecclesiae catholicae concredita est», che è stata
affidata alla Chiesa cattolica. Il sintagma «plenitudo gratiae et veritatis»
rieccheggia il prologo del IV. Vangelo, ed è una proprietà del Verbo Incarnato,
«gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità»[8].
Riguardo alla differenza fra la
Chiesa cattolica e le Chiese o comunità non cattoliche, san Giovanni Paolo II
precisò, nell’enciclica Ut unum sint!
del 25 maggio 1995, quanto segue:
Elementa huius Ecclesiae iam datae
exsistunt, in sua plenitudine coniuncta, in Ecclesia catholica et, sine hac
plenitudine, in ceteris Communitatibus, ubi mysterii christiani quidam aspectus
efficacius interdum sunt in luce positi[9].
I mezzi di
santificazione che provengono da Cristo si trovano dunque nella loro pienezza
nella Chiesa cattolica, e si riscontrano pure nelle altre comunità cristiane,
ma senza questa pienezza. Poi Giovanni Paolo II riconosce che tali altre
comunità, alle volte, mettono meglio in luce certi aspetti del mistero
cristiano. È come dire che l’esercizio
dei doni del Signore, non la loro natura, può essere anche più convincente in
gruppi acattolici.
Da quanto abbiamo, per il momento,
semplicemente letto nel Concilio e nel Magistero postconciliare autentico,
emerge già un quadro dottrinale assai chiaro: c’è una pienezza di salvezza che
sta, di per sé, nell’umanità del Verbo Incarnato. Questa pienezza, in primo
luogo, viene affidata, tramite l’organismo dei mezzi interni ed esterni di
santificazione, alla Chiesa cattolica, in cui solo sussistono nella loro
integralità. In secondo luogo, poi, una partecipazione più o meno intensa ai
doni di Cristo, si riscontra fuori dei confini visibili della Chiesa cattolica,
e ciò secondo due grandi modalità essenzialmente diverse: nelle Chiese
separate, la nota di ecclesialità si trova realizzata grazie al settenario
sacramentale, anche se manca il ministero petrino di unità; nelle altre
comunità cristiane, principalmente nelle denominazioni provenienti dalla
Riforma del Cinquecento, l’ecclesialità viene meno (o perlomeno è molto
parziale), perché manca la successione apostolica, e con essa sopratutto il
sacerdozio ministeriale e la santissima eucaristia.
c) Il radium Veritatis della
dichiarazione Nostra Ætate
Un altro tipo di rapporto ontologico
al mistero rivelato, assai più remoto, viene esposto nella dichiarazione Nostra
Ætate sulle religioni non cristiane. Nel numero 2, questo documento tratta
delle religioni anteriori alla rivelazione mosaico-cristiana, che si radicano
nel senso religioso delle gentes,
accennando all’induismo ed al buddismo. La dichiarazione nota al questo
proposito:
Ecclesia catholica nihil eorum, quae in
his religionibus vera et sancta sunt reicit. Sincera cum observantia considerat
illos modos agendi et vivendi, illa praecepta et doctrinas, quae, quamvis ab
iis quae ipsa tenet et proponit in multis discrepent, haud raro referunt tamen
radium illius Veritatis, quae illuminat omnes homines[10].
Ci sembra che questo
testo mette implicitamente a fuoco due coppie di distinzioni. La prima è quella
che oppone l’oggettivo al soggettivo: soggettivamente, la Chiesa rispetta le
espressioni del senso religioso che differiscono da ciò ch’essa promuove;
oggettivamente, però, essa può accettare solo ciò che vi è di vero e di santo.
Sotto questo aspetto, si coglie in quelle religioni « un raggio di quella verità che illumina tutti gli
uomini», il che allude chiaramente ad un altro versetto del prologo di
Giovanni: «Era la luce vera, quella che illumina ogni uomo»[11].
Ma di quale luce si tratta quando si applica questo versetto alle religioni estranee
alla Rivelazione ? Di quella luce propria della fede teologale, o di quella che
coinvolge primariamente l’apertura dinamica dello spirito creato verso il
Trascendente? A questo quesito, troviamo una risposta nella dichiarazione Dominus Jesus emanata il 6 agosto 2000
dalla Congregazione per la Dottrina della Fede:
Firmiter ergo tenenda est distinctio inter fidem
theologalem et credulitatem quae invenitur in aliis
religionibus. Dum enim fides acceptio est, vi gratiae, veritatis revelatae,
quae una sinit “nos in mysterium ingredi intimum, cuius congruentem fovet
intellectum”, credulitas aliarum religionum tributa in complexu illo innititur
experientiae et cogitationis, qui divitiarum acervum sapientiae ac sensus
religiosi efformat, mente conceptum ab hominibus veritatem quaerentibus ab
eisque ad effectum deductum cum sese ad Divinum et Absolutum referunt[12].
Perciò, le religioni
del mondo, in quanto espressioni del senso religioso e sacro dell’uomo, non
sono di per sé in grado di mediare la fede teologale ovvero soprannaturale; ma
esse si limitano ad attuare la tensione naturale dell’uomo verso la sfera del
divino. Se questa precisione lascia intatta la libertà della ricerca teologica
su ciò che può essere la virtù di fede allo stato implicito, che è - come sappiamo - necessaria per la salvezza eterna, essa
tuttavia chiarisce che tale fede implicita sarà essenzialmente distinta dalla credulitas delle altre religioni. I due
dinamismi, dello spirito che cerca di alzarsi al Trascendente, e della fede che
ci fa aderire a Dio rivelatosi in Cristo, potranno essere fusi, fino ad un
certo punto, nella coscienza del singolo; ma rimangono di natura
intrinsecamente diversa. Lo stesso vale per un’altra metafora adoperata dal
Concilio in un senso vicino, quella dei semina
Verbi[13].
Da questa
differenza risulta, per la nostra presente ricerca, un terzo livello, in ordine
discendente, nella gerarchia di partecipazione che cerchiamo di evidenziare:
quello dell’apertura sia costitutiva che operativa dello spirito creato rispetto
alla salvezza, come plesso di rivelazione e di giustificazione. Qui non si dà
ancora una vera e propria partecipazione stabile ed organica alla pienezza di
grazia che è in Cristo, ma una predisposizione naturale ad essa, che la
previene e, se si vuole, la anticipa, ma non può trasmetterla.
d) La
trascendenza degli atti religiosi nella dichiarazione Dignitatis Humanae
Uno dei punti dove il carattere
innovativo del Vaticano II rispetto al magistero ed alla prassi anteriori della
Chiesa appare di più è la libertà religiosa, promossa dalla dichiarazione Dignitatis Humanae e successivamente
assunta da tutti i Sommi Pontefici, in particolare da Giovanni Paolo II, a
norma della «politica estera» della Santa Sede. Questa libertà consiste
precisamente in una doppia imunità civile in materia religiosa, quella per cui
il singolo non può essere costretto ad agire contro la sua coscienza, anche
sbagliata, e quella per cui non può essere impedito di agire secondo coscienza:
Huiusmodi libertas in eo consistit, quod
omnes homines debent immunes esse a coercitione ex parte sive singulorum sive
coetuum socialium et cuiusvis potestatis humanae, et ita quidem ut in re
religiosa neque aliquis cogatur ad agendum contra suam conscientiam neque
impediatur, quominus iuxta suam conscientiam agat privatim et publice, vel
solus vel aliis consociatus, intra debitos limites[14].
La lunga
giustificazione di questo diritto, che si radica nella natura stessa della
persona umana («in ipsa eius natura ius ad libertatem religiosam fundatur»[15]),
si richiama alla trascendenza degli atti religiosi rispetto all’autorità
politica:
Praeterea actus religiosi, quibus homines
privatim et publice sese ad Deum ex animi sententia ordinant, natura sua
terrestrem et temporalem rerum ordinem transcendunt. Potestas igitur civilis,
cuius finis proprius est bonum commune temporale curare, religiosam quidem
civium vitam agnoscere eique favere debet, sed limites suos excedere dicenda
est, si actus religiosos dirigere vel impedire praesumat[16].
Questa tematica della
trascendenza della persona umana è posta, nella costituzione pastorale Gaudium et Spes, a fondamento della
riflessione antropologica ivi contenuta. Citiamo qua solo una breve formula
particolarmente significativa:
Recte iudicat homo, divinae mentis lumen
participans, se intellectu suo universitatem rerum superare[17].
È grazie alla
partecipazione del suo intelletto alla luce della scienza divina, che la
persona umana si colloca al di sopra delle cosmo materiale, e, di conseguenza,
anche dell’ordine politico, in quanto esso è intrinsecamente legato ad uno
spazio geografico e storico. Tale partecipazione, strettamente naturale, fonda,
a sua volta, due caratteristiche strettamente correlative del soggetto umano
dentro la tematica ecclesiologica del Concilio. Una è l’irriducibilità della
sua dimensione religiosa all’ordine politico-sociale; l’altra è la sua capacità
a ricevere le partecipazioni alla pienezza di grazia e di verità che in Cristo.
e) Il duplice
soggetto della potestà suprema sulla Chiesa
nella Costituzione
dogmatica Lumen Gentium
Il Vaticano II si è pronunziato
sulla Ecclesia Docens, completando
l’insegnamento del Vaticano I. Questo ultimo aveva definito che il Romano
Pontefice dispone di una potestà piena e suprema di giuridizione sulla Chiesa
universale, in campo sia dottrinale che disciplinare[18]. Ora la Costituzione Lumen
Gentium attribuisce anche al Collegio Episcopale questa pienezza della
potestà gerarchica, il cui esercizio dipende però sempre dal consenso del
Romano Pontefice:
Romanus enim Pontifex habet in Ecclesiam,
vi muneris sui, Vicarii scilicet Christi et totius Ecclesiae Pastoris, plenam,
supremam et universalem potestatem, quam semper exercere valet. Ordo autem
Episcoporum, qui collegio Apostolorum in magisterio et regimine pastorali
succedit, immo in quo corpus apostolicum continuo perseverat, una cum Capite
suo Romano Pontifice, et numquam sine hoc Capite, subiectum quoque supremae ac
plenae potestatis in universam Ecclesiam exsistit, quae quidem potestas nonnisi
consentiente Romano Pontifice exerceri potest[19].
Subiectum quoque: ci sono dunque due soggetti della medesima potestas, che sono solo inadaguatamente
distinti (in linguaggio scolastico, si direbbe per modum includentis et inclusi): il Romano Pontefice da solo, da
una parte, e il Collegio Episcopale unito al Romano Pontefice, d’altra parte.
La Nota explicativa praevia aggiunta
alla Costituzione precisa chiaramente che il Collegio non è mai tale senza il
Sommo Pontefice, a cui spetta da solo la determinazione e la promulgazione
dell’attività collegiale[20]. Più formalmente ancora, la stessa Nota formula un’ulteriore distinzione fra l’esistere e l’agire del
Collegio:
Collegium vero, licet semper exsistat,
non propterea permanenter actione stricte
collegiali agit, sicut ex Traditione Ecclesiae constat. A. v. non semper est «
in actu pleno », immo nonnisi per intervalla actu stricte collegiali agit et
nonnisi consentiente Capite[21].
Con questo
dispositivo ecclesiologico, ci troviamo di fronte ad una configurazione
ontologica assai originale. La stessa capacità operativa, analoga alla più alta
potenza attiva di un supposito vivente, viene posseduta in atto primo da due
soggetti, il cui secondo - il Collegio –
include il primo – il Romano Pontefice. A questo duplice soggetto corrispondono
poi due modalità di attuazione: mentre la potestas
del Sommo Pontefice passa all’atto secondo qualora egli lo vuole (ovviamente
non in maniera arbitraria), quella dell’Ordine episcopale viene ultimamente
attuata solo dal suo capo. Ne risulta che, in entrambi i casi, l’esercizio
effetivo della potestà suprema non avviene mai contro il volere del Romano
Pontefice[22]. Conviene notare che un simile ordinamento operativo non
si riscontra al di fuori della Chiesa, né negli organismi biologici, né in
quelli politici. Negli animali irrazionali, la testa è la sede dell’appetito
sensitivo e l’origine della motricità, ma non può mai agire senza il corpo; e
nell’uomo, è solo la volontà che può eleggere od imperare atti che siano
veramente liberi, quindi umani. Per quanto riguarda i sistemi politici, le
attuali costituzioni democratiche, che siano parlamentari o presidenziali,
delegano solitamente il potere legislativo, fondato sulla sovranità popolare,
ad una o due assemblee, la cui decisione maggoritaria costringe tutti, compreso
il capo dello Stato; viceversa, la prassi e la dottrina dell’assolutismo
attribuiva la sovranità al monarca in maniera esclusiva, anche se essa non era
tirannica, perché era sottomessa al diritto naturale nonché alle leggi
fondamentali del suo regno. Nella Chiesa invece, l’unica potestas suprema derivata da Cristo, e non dal popolo fedele, viene
ricevuta, ed in questo preciso partecipata, dai due soggetti specificati dalla Lumen Gentium ed è sempre esercitata
mediante la decisione o il consenso del successore di Pietro.
Possiamo ora abbozzare un primo
bilancio che farà apparire la rilevanza della nozione di partecipazione nella
dottrina ecclesiologica del Vaticano II:
1.
Il subsistit ci indica che la
Chiesa cattolica è, ed è sola, la Chiesa che dispone in pienezza dei mezzi di
santificazione che provengono dal Signore. Diremo che la Chiesa cattolica,
grazie alla partecipazione piena che riceve dai doni del Verbo Incarnato, è la
Chiesa di Cristo per essenza.
2.
Gli elementi di santificazione presenti ed operanti nelle altre Chiese e
comunità cristiane, godono soltanto di una partecipazione imperfetta ai mezzi
di santificazione istituiti dal Signore. Perciò possiamo dire che tali Chiese e
comunità realizzano la Chiesa di Cristo soltanto per partecipazione.
3.
I raggi di verità riscontrabili nelle religioni estrabibliche non
partecipano in maniera stabile, di per sé, al mistero salvifico di Cristo e
della sua Chiesa, ma vi possono disporre, e, nella misura in cui sono
intrecciati con influssi ed appelli della grazia cristica, lo possono
anticipare.
4.
La trascendenza della persona umana sull’universo temporale (Gaudium et Spes) e sull’ordinamento
politico (Dignitatis Humanae)
chiarisce lo statuto proprio del soggetto chiamato alle precedenti
partecipazioni di fronte alla sua condizione terrestre, e quindi l’indole
propria del partecipante.
5.
L’articolazione della suprema ed unica potestas
magisteriale e giurisdizionale sulla Chiesa in due soggetti inadeguatamente
distinti deve intendersi come due maniere di partecipare all’unica autorità
profetica e regale del Signore.
Fra queste novità
conciliari, le tre prime si scalano verticalmente, e per questa ragione possono
essere ordinate in una gerarchia ontologica che scende dalla grazia capitale di
Cristo fino ai semina Verbi,
attraverso tre tipi essenzialmente diversi e disuguali di riferimento al corpo
mistico dello stesso Cristo: partecipando alla pienezza di grazia del Signore,
l’ecclesialità si trova per essenza nella Chiesa cattolica, per partecipazione
più o meno intensa nelle chiese e comunità cristiane acattoliche, e solo per
ordinazione estrinseca nelle verità professate nelle denominazioni religiose
etniche. Il quarto insegnamento mostra che la dimensione religiosa della
persona umana trascende, entro i dovuti limiti, il bene comune temporale. La
quinta novità non riguarda più i membri, attuali o potenziali, del corpo
mistico nella loro universalità, bensì la gerarchia apostolica, per evidenziare
il modo del tutto sui generis in cui
partecipa all’autorità di Cristo. Di fronte a questi dati, pensiamo che
l’ecclesiologia debba chiedere alla metafisica dell’essere di aiutarla a
cogliere l’intelligibilità specifica di questi rapporti differenziati di
partecipazione.
Contro questo
tentativo, qualcuno potrebbe opporci l’intenzione stessa del Concilio.
Sintetizzando quest’ultima in una formula assai concisa, Francesco ci dice
infatti che «Il Vaticano II è stato una rilettura del Vangelo alla luce della
cultura contemporanea»[23].
Ora la cultura del nostro tempo non è certamente attrata dall’ontologia né
dalla teologia della partecipazione: quindi il nostro proposito sembrerà
fuoriviante a più di uno. A questo genere di obiezione, è però facile dare una
duplice risposta. Sul piano filosofico, per cominciare, non ci stancheremo mai
di ribadire con l’Aquinate che «Intellectus autem omnino secundum suam
naturam supra materiam elevatur»[24],
cosicché l’anima umana, precisamente in quanto umana, emerge sopra la storicità
e trascende i condizionamenti temporali. Posta questa premessa, il ricorso alla
filosofia dell’essere diventa necessario per l’ermeneutica di qualunque
concilio. Ma fu poi lo stesso Paolo VI, nel celebre discorso di chiusura del 7
dicembre 1965, a
suggellare la preoccupazione antropologica del Concilio con una visione
chiaramente meta-fisica:
Etenim ut nos hominem, hominem verum, hominem integrum penitus noscamus,
Deum ipsum antea cognoscamus necesse est. Ad hoc probandum satis nunc sit haec
recolere Sanctae Catharinae Senensis flammantia verba : « In tua natura, aeterne
Deus, naturam meam cognoscam ». Tum catholica religio vita est, quia hominis
naturam eiusque supremum finem ostendit, plenioremque sensum ei attribuit ;
vita denique est, quia veluti suprema lex vitae est habenda, et quia vitae ipsi
talem arcanam vim ei inicit, ut eam vere divinam efficiat[25].
Se la natura
dell’uomo deve essere illuminata, in ultima analisi, da ciò che conosciamo
della natura divina, allora possiamo a
fortiori risolvere la dottrina del Vaticano II sulla Chiesa in una
dialettica di partecipazione alla pienezza di grazia che si trova nell’anima
del Verbo Incarnato.
[1] Lumen Gentium, n° 8, AAS 57/1 (1965), 12.
[2] Cf. Unitatis Redintegratio, n° 4, AAS 57/1 (1965), 95: «[...] in unius
unicaeque Ecclesiae unitatem congregentur quam Christus ab initio Ecclesiae
suae largitus est, quamque inamissibilem in Ecclesiae catholica subsistere
credimus et usque ad consummationem saeculi in dies crescere speramus».
[3] Cf. Dignititatis Humanae, n° 1, AAS 58/14 (1966), 930: «Hanc unicam veram Religionem subsistere credimus in
catholica et apostolica Ecclesia, cui Dominus Iesus munus concredidit eam ad
universos homines diffundendi, dicens Apostolis: “Euntes ergo docete omnes
gentes baptizantes eos in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti, docentes
eos servare omnia quaecumque mandavi vobis” (Mt 28,19-20)».
[4] Sul tema del subsistit, segnaliamo l’investigazione
storica di Alexandra von TEUFFENBACH, Die Bedeutung des subsistit in
(LG 8) – Zum Selbstverständnis der katholischen Kirche, Herbert Utz Verlag,
München 2002.
[5] Congregazione per la Dottrina della Fede, «Responsa ad quaestiones de aliquibus sententiis ad doctrinam de
Ecclesia pertinentibus», n° 2, AAS
99/7 (2007), 606-607.
[6] Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede,
«Responsa ad quaestiones de aliquibus sententiis ad doctrinam de Ecclesia
pertinentibus», n° 4-5, AAS 99/7
(2007), 607-608.
[7] Unitatis Redintegratio, n° 3, AAS 57/1 (1965), 93 (corsivo nostro).
[8] Giov. 1, 14.
[9] GIOVANNI PAOLO II, «Ut unum sint!», n° 14, AAS 87 (1995), 929.
[10] Nostra Ætate, n° 2, AAS 58/10 (1966), 741.
[11] Giov. 1, 9.
[12] Congregazione per la Dottrina della Fede, «Declaratio De Iesu Christi atque Ecclesiae unicitate et
universalitate salvifica » [Dominus Iesus],
n° 7, AAS 92/7 (2000), 748.
[13] Cf. Ad Gentes, n˚ 11, AAS 58/14 (1966), 959-960: «Ut ipsi hoc testimonium Christi
fructuose dare possint, [...] laete et reverenter detegant semina Verbi in eis
latentia»; n˚ 15, 963: «Spiritus Sanctus, qui omnes homines per semina Verbi
praedicationemque Evangelii ad Christum vocat et in cordibus obsequium fidei
suscitat [...]».
[14] Dignitatis Humanae, n°
2, AAS 58/14 (1966), 930.
[15] Ibid.
[16] Dignitatis Humanae, n° 3, AAS 58/14 (1966), 932.
[17] Gaudium et Spes, n° 15, AAS
58/15 (1966), 1036.
[18] Cf. Concilio Vaticano I, Constitutio dogmatica “Pastor Æternus” de
Ecclesia Christi, cap. 3, canon, in Denzinger-Schönmetzer,
Enchiridion Symbolorum, Herder,
Barcellona 1976, n˚ 3064: «Si quis itaque dixerit, Romanum Pontificem habere
tantummodo officium inspectionis vel directionis, non autem plenam et supremam
potestatem iurisdictionis in universam Ecclesiam, non solum in rebus, quae ad
fidem et mores, sed etiam in iis, quae ad disciplinam et regimen Ecclesiae per
totum orbem diffusae pertinent; aut eum habere tantum potiores partes, non vero
totam plenitudinem huius supremae potestatis; aut hanc eius potestatem non esse
ordinariam et immediatam sive in omnes ac singulas ecclesias sive in omnes et
singulos pastores et fideles: anathema sit».
[19] Lumen Gentium, n˚ 22, AAS 57/1 (1965), 26.
[20] Cf. Nota explicativa praevia, n˚ 3, AAS 57/1 (1965), 74: «A. v. [aliis
verbis] distinctio non est inter Romanum Pontificem et Episcopos collective
sumptos, sed inter Romanum Pontificem seorsim et Romanum Pontificem simul cum
Episcopis. [...] Romanus Pontifex ad collegiale exercitium ordinandum, promovendum,
approbandum, intuitu boni Ecclesiae, secundum propriam discretionem procedit».
[21] Loc. cit., n˚ 4, 74. Le parole
in corsivo sono quelle della Lumen
Gentium.
[22] Perciò, Carlo Colombo potette osservare quanto segue in
«Il significato della Collegialità episcopale nella Chiesa», Ius Canonicum 19/38 (1979), 17: «[...] i
due soggetti non sono adeguatamente distinti, perchè il Romano Pontefice, oltre
ad avere il suo potere personale in quanto Vicario di Cristo, appartiene anche
al secondo, e ne è, anzi, parte essenziale. Più che a due soggetti
ineguadatamente distinti, ci troviamo di fronte a due forme, personale e collegiale, di esercizio di un unico potere
totale e universale, il potere di Cristo che viene da essi rappresentato».
[23] Antonio Spadaro, «Intervista a Papa Francesco», La Civiltà Cattolica 164/3918 (2013),
467.
[24] Tommaso d’Aquino, Compendium theologiae I, c. 84. Più esplicita ancora la Summa theologiae, I-II, q. 113 a . 7 ad 5: « Mens autem
humana quae iustificatur, secundum se quidem est supra tempus, sed per accidens
subditur tempori».
[25] Paolo
VI, «Homilia ad Patres Conciliares habita» [7 dicembre 1965], AAS 58/1 (1966), 58.
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