Benozzo Gozzoli, Le triomphe de saint Thomas d'Aquin, 1471

jeudi 17 mars 2011

La scansione ternaria dell'ente creato

            La partecipazione dell’ente creato all’Essere increato include tre dimensioni, quella dello esse misurato dalla correlativa essenza, quella della stessa essenza in atto per lo esse, e quella dell’inclinazione all’operare per cui la sostanza tende alla propria perfezione. Questa ternarietà si ritrova in due triadi alle quali accenna l’Aquinate. La prima, che è di matrice agostiniana, viene esplicitamente riferita alla triplice causalità divina:

creatura dicitur bona secundum respectum ad Deum, sicut vult Boetius in libro De hebdomadibus; sed Deus habet ad creaturam habitudinem triplicis causae, scilicet efficientis, finalis et formalis exemplaris; ergo et creatura dicitur esse bona secundum habitudinem ad Deum in ratione triplicis causae; sed secundum hoc quod comparatur ad Deum ut ad causam efficientem habet modum sibi a Deo praefixum; ut autem comparatur ad eum ut [ad] causam exemplarem habet speciem; ut autem comparatur ad eum ut ad finem habet ordinem; ergo bonum creaturae consistit in modo, specie et ordine[1].

Per giustificare questa corrispondenza, san Tommaso comincia per ricordare nel respondeo che la nozione di bene (ratio boni) significa non solo il «rapporto di ciò che perfeziona» (respectus perfectivi), ma «ciò a cui segue il rapporto con il rapporto stesso» (id ad quod sequitur respectus cum respectu ipso), cioè il supposito in quanto è ordinato alla propria perfezione. Ora il supposito creato viene istituito da un atto di essere ricevuto secondo una certa misura, che è precisamente la sua specie, mentre ad entrambi, essere finito e specie, segue l’inclinazione o respectus alla perfezione :

Cum autem creaturae non sint suum esse, oportet quod habeant esse receptum et per hoc earum esse est finitum et terminatum secundum mensuram eius in quo recipitur.
            Sic igitur inter ista quae Augustinus ponit, ultimum, scilicet ordo, est respectus quem nomen boni importat, sed alia duo, scilicet species et modus, causant illum respectum. Species pertinet ad ipsam rationem speciei, quae quidem secundum quod in aliquo esse habet, recipitur per aliquem modum determinatum, cum omne quod est in aliquo sit in eo per modum recipientis. Ita igitur unumquodque bonum, in quantum est perfectivum secundum rationem speciei et esse simul habet modum, speciem et ordinem: speciem quidem quantum ad ipsam rationem speciei, modum quantum ad esse, ordinem quantum ad ipsam habitudinem perfectivi[2].

In sintesi, il modus è quindi lo stesso esse in quanto misurato; la species è la misura (mensura) che determina, o «finisce» lo esse; e l’ordo è il rapporto alla perfezione (habitudo perfectivi) che viene causato dalla sostanza costituita dallo esse e dalla sua misura specificante. Da questa rilettura della triade agostianana all’interno dei parametri della metafisica tommasiana dell’essere, dobbiamo ritenere in primo luogo l’inseparabilità del modus e della species, rispettivamente fondati sullo esse e sulla essentia, poi, in secondo luogo, il nesso causale (species et modus causant illum respectum) che collega il plesso di specie e di essere al rapporto di perfettibilità. L’Aquinate non precisa la natura esatta di questa causalità, ma è ovvio che si tratta della finalità, e ch’essa si radica nella sostanza secondo il quarto modo di perseità.
            Il luogo parallelo della Summa theologiae è meno rilevante ai fini della presente investigazione, perché lascia lo esse nell’ombra, e si concentra sulla forma, che si deve intendere come forma in atto (e sappiamo che lo è per l’atto di essere). Essa viene significata dalla specie, mentre il modo è ciò che si richiede a parte ante per la sua costituzione, e l’ordine ciò che ne risulta a parte post[3]. Invece, la dottrina dei vestigia Trinitatis ci offre, nella stessa Summa, uno scorcio di alto interesse teoretico. Ecco il brano:

in creaturis omnibus invenitur repraesentatio Trinitatis per modum vestigii, inquantum in qualibet creatura inveniuntur aliqua quae necesse est reducere in divinas Persona sicut in causam. Quaelibet enim creatura subsistit in suo esse, et habet formam per quam determinatur ad speciem, et habet ordinem ad aliquid aliud. Secundum igitur quod est quaedam substantia creata, repraesentat causam et principium: et sic demonstrat Personam Patris, qui est principium non de principio. Secundum autem quod habet quandam formam et speciem, repraesentat Verbum, secundum quod forma artificiati est ex conceptione artificis. Secundum autem quod habet ordinem, repraesentat Spiritum Sanctum, inquantum est Amor: quia ordo effectus ad aliquid alterum est ex voluntate creantis[4].

Questo testo presenta sì una doppia difficoltà, epistemologica e contenutistica. Si tratta infatti di un’analogia tipica della sacra doctrina, che elenca fra le sue procedure la ricerca di somiglianze fra i misteri rivelati e le speculazioni dei filosofi, presupponendo ovviamente l’assenso di fede[5]. E nella fattispecie, la tesi proposta è un rapporto di origine a vestigio fra le Persone divine da un lato, e tre istanze ontologiche della sostanza creata d’altro lato. Per poter utilizzare questo argomento in sede di metafisica, dobbiamo quindi «sottrarre» ciò che vi è di esclusivamente rivelato nella serie superiore delle tre somiglianze. Si può operare facilmente questo trasferimento epistemico se si restringe il campo delle analogie agli attributi divini essenziali che vengono, nel testo citato, appropriati alle Persone[6]. Ora il Padre viene designato come causa, il che rimanda all’agente efficiente non effettuato; il Figlio come «concezione dell’artefice», il che evoca l’esemplarità non esemplificata dell’essenza divina inquanto locus idearum; e lo Spirito Santo come Amore, il che implica il primo principio finalizzante non finalizzato. All’interno di questa prospettiva limitata all’ambito della ragione, otteniamo allora la seguente tavola:

vestigio
riferimento del vestigio
causalità divina
substantia creata:
subsistit in suo esse
repraesentat
causam et principium
(non de principio)
causalità
efficiente
non effettuata
habet formam
per quam determinatur
ad speciem
secundum quod
forma artificiati est
ex conceptione artificis
causalità
esemplare
non esemplificata
habet ordinem
ad aliquid aliud
ordo effectus
ad aliquid alterum
ex voluntate creantis
causalità
finale
non finalizzata


Abbiamo sviluppato ulteriormente questa tematica nei seguenti messaggi:

Et pubblicheremo un lungo saggio al riguardo nella rivista spagnola Espiritu nel mese di giugno 2012.


[1] QD De veritate, q. 21 a. 6 sc. 3.
[2] Loc. cit., c.
[3] Cf. ST I, q. 5 a. 5c, nonché I-II, q. 85 a. 4c.
[4] ST I, q. 45 a. 7c.
[5] Cf. Super Boetium De Trinitate, q. 2 a. 3c: «Sic ergo in sacra doctrina philosophia possumus tripliciter uti: […] secundo ad notificandum per aliquas similitudines ea que sunt fidei, sicut Augustinus in libro De Trinitate utitur multis similitudinibus ex doctrinis philosophicis sumptis ad manifestandum Trinitatem». Questo procedimento analogico può rientrare nel «quomodo sit verum» delle Quaestiones de quolibet IV, q. 9 a. 2c: «Quaedam vero disputatio est magistralis in scholis non ad removendum errorem, sed ad instruendum auditores ut inducantur ad intellectum veritatis quam intendit: et tunc oportet rationibus inniti investigantibus veritatis radicem, et facientibus scire quomodo sit verum quod dicitur».
[6] Per la nozione teologica di appropriazione, cf. ST I, q. 39 a. 7; e per un quadro sistematico delle appropriazioni, ibid. a. 8.

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