Benozzo Gozzoli, Le triomphe de saint Thomas d'Aquin, 1471

dimanche 28 novembre 2010

La triplice scansione dell'ente creato e la metafisica della partecipazione

            Torniamo oggi sul tema già abozzato il 1 novembre scorso. Tutti i tomisti conoscono tre serie di posizioni fondamentali del loro maestro :
  1. In Dio, l’essenza e l’essere coincidono totalmente; e, in virtù di questa prima identità, in Dio pure l’essere e la bontà coincidono: Deus est ipsa bonitas (CG I, c. 38).
  2. Nella creatura, l’ente non coincide con l’atto di essere, che è realmente diverso dall’essenza, quale «potentia essendi»; e, anche in virtù di questa inadeguazione, la creatura non è la sua bontà: «solus Deus est bonus per essentiam» (ST I, q. 6 a. 3).
  3. Inoltre, e la cosa diventa più complessa, la bontà della creatura non coincide con il suo essere sostanziale. Infatti, nell’importante ad 1 di ST I, q. 5 a. 1, l’Aquinate spiega che:
Secundum primum esse, quod est substantiale, dicitur aliquid ens simpliciter  et bonum secundum quid, idest inquantum est ens ; secundum vero ultimum actum, dicitur aliquid ens secundum quid, et bonum simpliciter.

La ragione è che l’ente sostanziale, per il suo atto di essere, è ente in senso proprio, perché è ciò che ha l’essere, mentre l’accidente e l’operazione non hanno l’essere, ma piuttosto qualcosa è tramite loro. Invece, per quanto riguarda la bontà, l’ente non è buono in senso pieno finché non abbia raggiunto l’ultima perfezione operativa di cui è capace.

            Quindi, abbiamo da un lato l’identità totale, in Dio, fra essenza, essere e bontà; mentre, nella creatura, abbiamo due livelli di bontà successivi: la bontà imperfetta che viene dalla sostanza (che risulta dall’attuazione dell’essenza da parte dell’atto di essere), poi la bontà perfetta che proviene, nelle cose capaci di operazione, dell’operazione più perfetta di cui sono capaci. In questo studio, ci proponiamo di investigare, alla luce di san Tommaso nonché di Partecipazione e causalità, il nesso di consecuzione necessaria fra la composizione reale di essere e di essenza nella sostanza creata da una parte, e la distinzione successiva fra la prima bontà imperfetta e la seconda bontà perfetta. Abbiamo due differenze: la differenza ontologica tommasiana, poi ciò che si potrebbe chiamare la differenza agatologica oppure la differenza operativa (nessuna creatura è la sua propria operazione perfettiva); queste due differenze si radicano ovviamente in una terza, la differenza teologica fra l’ente per partecipazione e l’Essere per essenza, giacché è la creaturità che istituisce la composizione reale di essenza e di esse. Per investigare correttamente questo problema, dovremmo quindi procedere in tre tappe:

  1. Nella prima, studieremo la causalità divina ed il suo riflesso nell’ente creato, interessandoci soprattutto a la presentazione del tema in san Tommaso stesso;
  2. nella seconda, evidenzieremo i guadagni teoretici che ci offre Partecipazione e causalità per quanto riguarda la comprensione dello exitus delle cose da Dio;
  3. e nella terza, cercheremo, ai nostri rischi…, di prolungare la riflessione fabriana in una investigazione del reditus, che mostri come l’ente composto di essenza e di essere deve ritornare a Dio attraverso il suo ordo al bene. Di là il titolo della nostra ricerca: esse, essentia, ordo.
Nel presente messaggio, ci limitiamo a quello che potrebbe essere lo scheletro di una tale indagine.


1.         La triplice causalità divina e la triplice scansione dell’ente creato

            Per san Tommaso, la causalità divina sul creato comprende tre dimensioni: efficiente, esemplare, finale, cioè tutte le causalità attuanti estrinseche. Parimenti, l’ente creato rispecchia la causalità divina tramite la scansione interna di modus, species, ordo, riducibile a quella di esse, essentia, ordo. Vediamo.

a)        La triplice causalità divina

  • Dio è causa efficiente del creato. San Tommaso lo prova a partire dal principio di partecipazione, utilizzato in via iudicii. Riteniamo soprattutto che l’essere sussistente non potendo essere che uno, gli enti per partecipazione lo sono necessariamente secondo una certa misura di partecipazione, che è la loro essenza. Così appare che la causalità trascendentale tramite la quale Dio istituisce la creatura, grazie il dono di un actus essendi partecipato, passa attraverso la mediazione di un’essenza sostanziale creata. E questo ci conduce alla seconda causalità divina.

  • Infatti, Dio è pure causa esemplare del creato. Lo è attraverso le idee divine, realmente identiche all’essenza divina, ed indicano i modi in cui
                       eius similitudo a diversis participari potest diversimode[1]

Questa somiglianza partecipata alla divina essenza attraverso le forme, la cui determinazione viene riferita alla sapienza divina. Notate che san Tommaso non parla di una diretta partecipazione delle essenze delle cose create all’essenza divina, ma di una determinazione, diremo anche di una delimitazione di questa partecipazione attraverso le forme, che, come sappiamo, sono le misure dello esse. «Forma dat esse»: la forma fissa la misura di esse grazie alla quale qualcosa partecipa all’Essere divino.

  • Dio è causa finale del creato. Lo è inquanto:
unaquaeque creatura intendit consequi suam perfectionem, quae est similitudo perfectionis et bonitatis divinae[2].

E l’Aquinate precisa che:

nihil habet rationem boni et appetibilis, nisi secundum quod participat Dei similitudinem[3].

Quindi la nozione di partecipazione appare nell’analisi che Tommaso fa di tutte e tre le causalità divine sul creato, ma sotto aspetti diversi:

  • c’è la partecipazione fondante dello esse creato allo Esse subsistens, secondo una misura di partcipazione;
  • poi c’è la partecipazione dell’ente per partecipazione all’essenza divina, secondo un certo modulo ch’è la forma, principio determinante dell’essenza creata;
  • e c’è finalmente la partecipazione secondo la quale «omnia appetunt Deum ut finem»[4].

Perciò la causalità implica, nel causato, tre istanze: lo esse, l’essentia che specifica lo esse, e finalmente una certa ordinazione al fine che risulta dal plesso di esse – essentia.


b)        La triplice scansione dell’ente creato

·        Quaelibet enim creatura subsistit in suo esse, et habet formam per quam determinatur ad speciem, et habet ordinem ad aliquid aliud[5].

Lo esse viene nuovamente collegato alla sua sussistenza nella sostanza; la forma viene colta come principio di de-terminazione – la misura di essere indicata dalla specie; e poi l’ordo ad aliud. Si noti il contesto trinitario di questa scansione, mediato dalle tre causalità divine, appropriate alle Persone.

·        Nel De veritate, san Tommaso si chiedeva «se il bene creato consista nella modo, nella specie e nell’ordine», come dice Agostino. La sua giustificazione della triade agostiniana è la seguente:

«Ma siccome le creature non sono il loro essere, è necessario che abbiano un essere ricevuto: e in base a ciò il loro essere è finito e determinato secondo il modo di ciò che è ricevuto», e, un può più avanti: «Così dunque ogni bene, in quanto è perfettivo secondo la natura della specie e l’essere, ha insieme la misura, la specie e l’ordine: la specie quanto alla stessa ratio specificativa, il modo quanto all’essere, l’ordine quanto allo stesso rapporto (habitudinem) perfettivo».

Quindi il bene presuppone lo esse, che è sempre ricevuto secondo un certo modus; la specie, che è la misura stessa di questo esse; e il respectus perfectivi, di cui Tommaso precisa che è causato dai due primi termini della scansione. Si è colpiti, qua, da due cose:

o       Il modus e la species sono strettamente solidali, benché il primo si riferisca allo esse ch’esso misura, mentre la seconda esplicita questa misura.
o       Il respectus, cioè il rapporto del plesso di esse-essentia al bonum procede da questo stesso plesso.

·        Abbiamo raggiunto, a questo punto, un primo guadagno speculativo, a doppio taglio. Lo exitus della creatura si concretizza in un ente per partecipazione nel quale lo esse è ricevuto secondo un modus, la cui misura è determinata dalla species; poi, questo ente implica necessariamente un respectus perfectivi ad un bene da raggiungere tramite una operazione.


2.        Lo Exitus e la partecipazione

  • Dall’opera di Cornelio Fabro Partecipazione e causalità, abbiamo imparato che il fulcro dell’ente creato nonché della sua dipendenza creaturale sta precisamente nel suo esse, considerato come atto intensivo ed emergente. Esso è intensivo, perché è la fonte di tutte le perfezioni di cui il Creatore renderà partecipe la sua creatura; ed è emergente, perché supera, in quanto esse ut actus, i diversi strati di esse in actu che si riscontrano nel supposto concreto. Nella sua vastissima opera, il Fabro si ferma soprattutto sulla partecipazione trascendentale, che si realizza tramite il plesso di esse e di essentia, poi sulla partecipazione predicamentale, che è posteriore alla contractio dello ens secondo una determinata essentia; nei termini della nostra problematica, egli chiarisce quindi, tramite la dottrina della partecipazione, la causalità divina efficiente e quella esemplare, per cui ci ha lasciato una metafisica assai profonda dello exitus. Però ci sono pure degli accenni alla partecipazione operativa, ultima espansione dello esse nell’ente.
  • Sottolineiamo due caratteristiche complementari dello esse che fonda lo ens per partecipazionem:
    • Da un lato, Fabro scrive che lo esse «essendo proporzionato all’essenza, non può transcendere il grado formale dell’essenza stessa: “Esse autem est aliquid fixum et quietum in ente[6]; et ideo quod de se est in potentia ad non esse, non potest, ut ipse [Averroës] dicit, acquirere ab alio perpetuitatem essendi”»[7].
    • D’altro lato, è ben nota l’attenzione del Fabro a quel che chiamò «l’offuscamento dell’esse nella scuola tomistica» (articolo della Revue thomiste del 1958, ripreso in PC). Quindi lo esse non deve per niente essere ridotto a mero fattore esistenziale. Non c’è, da una parte, l’esse come principio di esistenza e l’essenza come principio di perfezione, ma c’è l’esse come fonte di tutte le perfezioni e di tutti gli atti dell’ente, e c’è l’essenza come misura primordiale dell’intensità di tale perfezione e di tale atualità.
    • Congiungendo i due lati, si dovrà dire che l’esse, nello exitus della creatura, è ciò che attua l’essenza emergendo al di sopra di essa, poi è ciò che solo nella sostanza e per la sostanza così costituita, attua le altre perfezioni dell’ente, cominciando dalle forme accidentali, e finiendo con le operazioni[8].
  • Ci sembra interessante rilevare che Étienne Gilson esprimeva una preoccupazione del tutto simile, e lo faceva appellandosi alla stessa formula dell’Aquinate:
Enfin, puisque cette actualité de l’être est celle d’un principe substantiel, il ne faut pas le concevoir comme une activité qui se déploierait en manifestant son efficace dans la suite des moments du temps. Effet de Dieu, et, à ce titre, participation de l’acte pur d’être, l’esse fini subsiste au cœur de l’étant comme un acte immobile et en repos : aliquid fixum et quietum in ente. La vraie notion de l’être actuel n’en fait pas un devenir et l’on ne doit pas refuser de la réduire à l’essence pour le confondre avec une sorte de durée substantifiée dont il serait le flux même. La réflexion métaphysique se trouve ici exposée à commettre une double erreur, l’une qui consiste à réduire l’étant à l’essence réalisée, l’autre qui, pour éviter ce péril, dissout l’essence en un flux sans cesse changeant ou, plutôt, qui le changement même. L’être bien entendu n’est ni un bloc ontologique inerte ni un devenir ; son repos est celui d’un acte analogue à celui du pur acte d’Être qui, sans avoir à changer pour devenir ce qu’il est (puisqu’il est l’être) n’en est pas moins source d’un devenir au cours duquel il manifeste sa fécondité sans s’y engager lui-même[9].

  • In questo modo, la teoria fabriana della partecipazione, assai vicina a quella del Gilson, fonda dettagliattamente cos’è l’exitus della creatura. Resta da chiarire il reditus.


3.        La partecipazione operativa e il reditus della creatura

  • Pensiamo che l’impresa fabriana va proseguita in una metafisica del reditus, che dovrà risolvere due quesiti legati, ma distinti: perché la sostanza creata non può non essere ordinata ad un’operazione (omnis substantia est propter suam operationem, CG I, c. 45 n. 6) tramite la quale essa perviene alla sua assimilatio ad Deum ? E come si compie questo ordo ad finem ? La chiave di soluzione si trova nell’inadeguatezza fra lo esse ut actus e lo esse in actu, che risulta, nella creatura, dalla stessa composizione reale di esse e di essenza. Proprio perché l’ente creato non è il proprio atto di essere, ma lo ha, si dà una differenza ulteriore, in esso, fra la sostanza da una parte, e l’operazione, d’altra parte, cioè fra l’essere in atto primo, e l’essere in atto secondo. Per quanto riguardo il come, diciamo che bisogna rileggere l’ontologia dell’accidente, e quella dell’operazione, alla luce della distinzione fra esse ut actus ed esse in actu, mostrando come il primo, che fa essere ma non è, si espande nei piani succesivi del secondo, che è (la sostanza), oppure è tale (l’accidente).
  • In conclusione, si mostra brevemente come i guadagni di questa investigazione metafisica risultano proficui:
    • per la metafisica tomistica stessa, che non deve abbandonare lo studio dell’agire né all’etica, né alle alte correnti di pensiero cristiano.
    • per l’etica fondamentale, in quanto la necessità dell’operare buono, in quell’agente libero ch’è l’uomo, viene radicata nella necessità di passare dall’essere in atto primo all’essere in atto secondo, e di far sì che questo passaggio non sia distruttivo, ma costruttivo della persona, che è il supposito di natura intellettiva.
    • per la teologia dogmatica, in quanto si evidenzia una certa struttura trinitaria dell’ente attraverso la metafisica del vestigium, il che dovrebbe contribuire a superare lo stato, molto frequente attualmente, di estraneità fra metafisica e dogmatica.


[1] ST I, q. 44 a. 3c.
[2] ST I, q. 44 a. 4c.
[3] ST I, q. 44, a. 4 ad 3.
[4] ST I, q. 44 a. 4 ad 3.
[5] ST I, q. 45 a. 7c.
[6] CG I, c. 20 n. 27.
[7] C. FABRO, Partecipazione e causalità, EDIVI, Segni 2010, 390.
[8] Cf. C. FABRO, Partecipazione e causalità, 371-379 (“la struttura della causalità predicamentale”), con speciale riferimento a ST I, q. 77.
[9] É. GILSON, Introduction à la philosophie chrétienne, 2a ed., Vrin, Paris 2007, 188-189.

Aucun commentaire:

Enregistrer un commentaire

Remarque : Seul un membre de ce blog est autorisé à enregistrer un commentaire.