Nella lettura della quarta via proposta dal tomismo trascendentale, che abbiamo esposta nel messaggio precedente, la causalità divina non viene certo negata, ma posticipata. Si va dallo «io penso l’essente oggettivato» all’essere puro, dall’essere puro all’Essere sussistente, e finalmente dall’Essere sussistente all’essente causato, con l’intento di superare la dissociazione kantiana di fenomeno e di noumeno. Condizione sine qua non di questo circolo metafisico trascendentale è, come abbiamo visto, una lettura, o rilettura, della quarta via basata sul rapporto di misura. Ora la possibilità stessa di una simile interpretazione fu vigorosamente contestata da numerosi difensori di un tomismo in continuità con i commentatori domenicani del Cinquecento e del Seicento. Un posto di spicco spetta, per quanto riguarda specificamente la quarta via, al P. Vincent de Couesnongle O.P. (1916-1992)[1], che pubblicò, fra altro, una lunga e documentata critica del P. Gaston Isaye. La sua tesi di fondo asserisce che la causalità è l’unica molla che legittima la conclusione della quarta via, ad esclusione della misura[2]. È fuori dubbio che l’epistemologia comune a tutte le vie sia, per l’Aquinate, quella di una dimostrazione quia che risale a Dio causa prima a partire dai suoi effetti[3]. Il P. de Couesnongle lo verifica a proposito della quarta via, cominciando con una minuziosa esegesi testuale dei due luoghi che potrebbero indurre a vedere nel solo rapporto di misura il perno dell’argomento. Si tratta delle due rationes del Commento alle Sentenze, che abbiamo citate all’inizio del presente studio; in questi argomenti la differenziazione del bene e del bello (speciosum) nelle cose viene considerata come effettuata, quindi dipendente da una causa che è bontà e bellezza in sé:
[...] in substantiis invenimus corpus bonum et spiritum creatum melius, in quo tamen bonitas non est a seipso. Ergo oportet esse aliquod optimum a quo sit bonitas in utroque.
[...] oportet esse aliquid a quo utraque speciosa sint[4].
Per il P. de Couesnongle, non si procede, in questi due testi, da un misurato finito alla posizione di una misura infinita; ma, partendo dalla composizione del buono e del bello con i loro soggetti rispettivi, si considera ch’essa non può avere la sua «ragione di essere» nel composto stesso, cosicché si è costretti di porre un massimamente buono e bello, che sia la causa della bontà e della bellezza differenziata nelle cose[5]. La chiave dei due argomenti sta quindi nel principio di causalità.
Avendo mostrato che, de facto, nessuna delle formulazioni tommasiane della quarta via riposa formalmente sulla nozione di misura, lo stesso autore giustifica de iure questa esclusione. Nei suoi analogati inferiori, come la quantità o l’intensità qualitativa, la misurazione richiede la conoscenza previa della cosa da misurare e sopratutto della misura stessa: non si può misurare una stanza senza sapere cos’è il metro e quali sono le sue suddivisioni. Se si sale alla nozione analogica di misura, valida su scala transcategoriale o addirittura trascendentale, essa diventa un principio di conoscenza per comparazione di un posteriore, il misurando, ad un anteriore, la misura; ora un principio oggettivo di conoscenza fa conoscere qualcos’altro soltanto in quanto è dapprima conosciuto in se stesso; perciò l’esistenza e la natura della misura debbono essere conosciute prima della misurazione, e non grazie ad essa. Ne risulta che la posizione di un maxime ens per semplice paragone a partire dagli enti che cadono nell’ambito della nostra esperienza implicherebbe una petizione di principio: infatti, l’esistenza della misura stessa, vale a dire del «massimamente ente», che dovrebbe essere l’oggetto della conclusione, sarebbe già presupposta nella maggiore, giacché non si può misurare niente senza disporre già della misura[6]. A questa confutazione, i sostenitori del tomismo trascendentale obietterebbero subito che basta una conoscenza previa della misura che sia soltanto virtuale, e non attuale. In questo caso, l’intelletto paragonerebbe gli enti limitati, ch’egli oggettiva sulla base dell’astrazione, con lo esse illimitato verso il quale tenderebbe, secondo il P. Isaye, il desiderio ultimo dello stesso intelletto, o che costituirebbe, secondo il P. Lotz, la condizione ultima di possibilità del giudizio e più ampiamente di tutta l’intenzionalità umana. Abbiamo sufficientemente documentato che la rilettura trascendentale della quarta via muove precisamente da questa dissimmetria fra l’oggetto, attualmente conosciuto, ma limitato, e l’orizzonte sovra-oggettivo, illimitato, ma con-conosciuto e quindi solo virtualmente oggettivabile. A questa dialettica fra il finito attuale e l’infinito virtuale, il P. de Couesnongle replica che se lo esse infinito, in quanto misura dello ens finito, è conosciuto in modo solo virtuale, allora il rapporto di misurazione che collega l’uno all’altro sarà pure virtuale, giacché la misura fa conoscere il misurato a seconda dell’attualità o della potenzialità che le è propria. Perciò, a partire da un essere anticipato, e quindi non ancora riconosciuto come reale ed attuale, potrò effettuare una misurazione ugualmente anticipata, e dire che tale o tale ente partecipa in maniera più o meno intensa all’essere perfetto anticipato; ma da questo rapporto virtuale di misurazione, non potrò mai concludere l’esistenza attuale della misura che, assunta come virtuale nella premessa, rimane virtuale nella conclusione[7]. Qua tocchiamo il punto di dissenso maggiore che la lettura trascendentale, in senso moderno, della quarta via e dell’intera metafisica tommasiana suscitò fra i discepoli dell’Aquinate. Gli eredi del P. Maréchal postulano un circolo metafisico ascendente, i cui tre momenti sarebbero l’essere infinito anticipato, l’ente finito afferrato, l’Essere infinito concluso, dove si sale dall’infinito virtuale all’Infinito attuale attraverso la mediazione del finito attuale. I loro avversari contestano invece radicalmente la pertinenza di questo circolo, nel quale vedono un passaggio indebito dal possibile, l’essere puro ipotizzato, all’attuale, l’Essere sussistente affermato.
Ogni ermeneutica della quarta via in senso trascendentale-moderno essendo quindi preclusa, si tratta per la corrente di tomismo che stiamo esaminando di spiegare in modo preciso come questa dimostrazione si fondi sulla causalità e quali tipi di cause vi siano all’opera. Per il Couesnongle, la prova di Dio ex gradibus deve essere analizzata all’interno del quadro sillogistico seguente: ciò che non è per se, è in virtù di un altro; ora ciò che possiede una perfezione trascendentale secondo il più o il meno non è per sé; dunque ciò che possiede una perfezione trascendentale secondo il più o il meno è in virtù di un altro, e siccome è impossibile regredire all’infinito nella serie delle cause, bisogna fermarsi ad un primo che possiede quella perfezione trascendentale per sé e al massimo grado[8]. La maggiore propone una modalità abbastanza ovvia del principio di causalità, nella quale si collega l’essenza alla sua realizzazione: o qualcosa include l’essere fra i suoi predicati per se, oppure no, e bisogna allora, in quest’ultimo caso, che sia posto nell’essere da un agente superiore[9]. La minore necessita invece un’elaborazione più complessa, di modo che la dimostrazione totale passa attraverso tre tappe:
- A titolo preliminare, quindi anteriormente all’argomento stesso, si ragiona sul più o meno in ambito categoriale. Se un soggetto possiede la sua essenza in modo integro, ma diminuito rispetto alla sua espansione normale, come per esempio un platano rachitico, questa minorazione non proviene dalla quiddità stessa, ma da un’altra causa[10]. E se passiamo dalla sostanza, che non ammette il più e il meno in modo intrinseco, a quelle qualità che lo ammettono[11], vediamo che la loro quiddità si realizza in modo esemplare nel grado massimo, ad esempio nel bianco puro, che è «più bianco» del bianco sporco. Nella fisica qualitativa alla quale si richiama l’Aquinate, il principio che stiamo enunciando trova una sua applicazione particolarmente significativa nella qualità di caldo, la cui essenza si riscontra allo stato puro nel fuoco, mentre si trova in uno stato minorato nelle altre cose calde. Benché abbia perso valore a livello fisico, questo esempio rimane utile per capire i nessi causali a livello metafisico. Considerando un corpo caldo, si deve infatti distinguere due momenti nel suo essere caldo, che sono il calore stesso e il suo grado. Il primo deve essere uno, altrimenti non avrebbe una natura, mentre il secondo è variabile, come dimostra l’esperienza. Perciò, la cosa calda e, generalizzando, la qualità graduata, rimanda a due cause diverse che sono il soggetto, al quale si deve la graduazione, e la quiddità della qualità, alla quale si deve l’essere qualificato della cosa. Ne risulta che ciò che possiede una qualità graduata non la possiede per sé, ma per la quiddità della qualità stessa, che è formalmente una.
- Cosa accade sul registro trascendentale dello ens, che viene adoperato nella quarta via? L’ente che coglie il nostro intelletto si presenta in una dualità analoga - ma solo analoga, ovviamente - alla qualità graduata. Infatti, lo ens comprende una essenza che lo determina ad essere tale o tale, ed uno esse, che il Couesnongle comprende, con molti tomisti francesi ispiratisi al Maritain od al Gilson, come atto di esistere (acte d’exister). Questa coppia rivela due ordini di perfezione, quello specificativo dell’essenza, e quello esistenziale dell’essere, che implicano per l’autore due tipi di attualità, una formale e l’altra reale. Ora siccome un atto formale non può esercitare la sua attualità propria se non viene prima posto nell’esistenza dall’atto reale, l’ordine dell’esistenza, fondato sullo esse, è anteriore a quello della specificazione, di tal guisa che questo è in potenza a quello. Quindi, anche se l’essenza è atto nel suo ordine proprio, essa è invece potenza rispetto all’esistenza, cosicché lo esse realizza l’essentia, mentre questa limita quello ad essere l’esistenza di tale ente, ad esclusione di tale altro. In questo modo, l’atto di essere che afferriamo negli enti concreti è sempre graduato a seconda delle loro essenze; però, capiamo al contempo in maniera riflessiva che l’esistere, di per sé, non è ristretto a tale o tale grado determinato, ma che significa l’attualità pura di essere[12], senza limiti né differenziazione: «esse autem, inquantum est esse, non potest esse diversum»[13]. A questo punto, stiamo di fronte allo esse limitato ma reale delle cose da un lato, e ad un esse illimitato, ma ancora ipotetico d’altro lato, la cui realtà non può essere dedotta dalla sua semplice oggettivazione, contrariamente a quanto fanno, sebbene in maniere diverse, sia l’Anselmo del Proslogion che i tomisti trascendentali. Nondimeno, abbiamo elaborato la minore dell’argomento, ed evidenziato che l’atto di esistere delle cose graduate non appartiene loro né in virtù di sé stesso, perché non è graduato per sé; né in virtù delle loro essenze, perché queste sono principio di specificazione, non di esistenza.
- Possiamo allora sottommettere questa minore al principio di causalità: ciò che non è per sé è per un altro; ora l’esistere dell’ente graduato non è per sé, nel senso che abbiamo esplicitato; dunque bisogna porre un Esistere assoluto, che sia la fonte dell’esistenza per gli enti graduati. L’essere per sé deve intendersi nelle due linee di causalità esemplare ed efficiente, in quanto l’esse imperfetto degli enti graduati non trova in loro né il suo principio di unità, che deve essere lo Esse in quanto perfetto, né il suo principio di realizzazione, che deve essere lo Esse in quanto fonte di ogni esistente.
Questa lunga esplicitazione della quarta via in chiave esclusivamente causale viene così riassunta dal suo autore:
Les être gradués, limités, ne sauraient exister par eux-mêmes. En tout ce qu’ils sont (rien dans l’être qui ne soit de l’être), ils ont besoin d’un autre que soi. Refuser cette inférence serait ici encore, ici plus que jamais, se condamner à la contradiction : un être existerait sans raison d’exister ; au même point de vue, celui de son existence, il serait par soi (puisque non par un autre) et non par soi (puisque limité il ne réaliserait pas la plénitude de l’être par soi). Il faut donc affirmer l’existence d’un autre comme CAUSE de l’être gradué. Pour que cette cause réponde à l’appel de ce dernier, pour qu’elle rende compte de l’existence de l’être gradué, elle doit exister par soi et donc réaliser pleinement ce que c’est que l’être[14].
Il contrasto con l’interpretazione del P. Isaye e a fortiori del P. Lotz è molto forte. Per i due Gesuiti e tutta la posterità del P. Maréchal, la prova di Dio prende il suo avvio all’interno della coscienza intellettiva, muovendo dalla dialettica fra l’ente oggettivato e l’essere anticipato; per il loro critico Domenicano, il punto di partenza non può non essere al di là della coscienza, negli enti estra-mentali graduati e limitati che vengono paragonati ad un essere massimale ed illimitato, ma ancora ipotetico. Pure l’esito della dimostrazione rivela una certa discrepanza, nonostante la comune professione di fede cattolica nella trascendenza assoluta di Dio creatore: infatti, l’ermeneutica trascendentale della quarta via accentua notevolmente l’immanenza dell’Essere divino nell’orizzonte della nostra intenzionalità, mentre la lettura radicata nella tradizione domenicana mette in forte risalto il carattere estrinseco della causalità divina, insistendo sulla sua dimensione efficiente senza la quale la prova perderebbe il suo realismo.
Questa preoccupazione di fronte ad una possibile riduzione idealistica della quarta via viene condivisa da molti tomisti del Novecento. Fu per questo motivo che un Garrigou-Lagrange sottolineava la necessità di saldare l’esemplarità dell’Essere o del Bene supremo nella sua causalità effettiva sul mondo, in chiave chiaramente anti-ontologista[15]. Più vicino a noi, il P. Leo Elders S.V.D. prende posizione nello stesso senso sul problema controverso del momento in cui la quarta via, nel testo canonico della Summa theologiae, raggiunge la sua conclusione. Ora, per lui, la proposizione «Est igitur aliquid quod est verissimum, et optimum, et nobilissimum, et per consequens maxime ens...», stabilisce sì che le perfezioni trascendentali limitate esigono un fondamento illimitato; ma la natura precisa di quest’ultimo viene chiarita soltanto nella seconda parte della via, quando viene sottoposto al principio per cui «quod autem dicitur maxime tale in aliquo genere est causa omnium quae sunt illius generis». Solo allora si passa dal piano formale delle relazioni di partecipazione a quello reale della causalità efficiente, che consente al maximum ens di comunicare qualcosa della sua pienezza[16]. Posta infatti l’assoluta trascendenza dell’Essere sussistente rispetto all’ente finito, è ovvio che non si può risalire da questo a quello attraverso un semplice rapporto di subordinazione formale, altrimenti Dio diventerebbe la forma del creato; perciò il rapporto di esemplarità grazie al quale possiamo fondare la perfezione transcendentale limitata nel Perfetto transcendente illimitato deve essere sempre sorretto dal nesso efficiente che salvaguarda l’alterità del Sussistente divino nei confronti dei supposti creati[17]. Per questa ragione, anche gli studiosi che spiegano la quarta via attraverso un principio di ordine che rileva della causalità esemplare ammettono comunque ch’esso connota secondariamente la causalità efficiente, di tal guisa che l’intelletto vede nell’ente, nel buono o nel vero finiti non solo la traccia dell’Infinito, ma anche l’effetto di una sua comunicazione[18].
Così interpretata in chiave causale, la quarta via muove quindi dalla somiglianza all’Esemplare nonché dall’effetto all’Efficiente, due dimensioni che san Tommaso congiunge in tutti i luoghi in causa. Questa integrazione della forma e dell’efficienza sollevò una controversia quanto alla natura stessa della «prossimità» che unisce i gradi al massimo. In effetti, il rapporto dell’ente graduato o «diminuito» all’ente massimo che lo causa rieccheggia subito la nozione di partecipazione, di modo che ci si chiede se la dipendenza causale del magis et minus rispetto al maxime non debba essere trascritta e giustificata come rapporto di partecipante a partecipato. In questo caso, il principio di causalità potrebbe essere formulato in termini di partecipazione, secondo questa formula dello stesso Tommaso:
Omne autem quod est per participationem causatur ab eo quo est per se: sicut omne ignitum causatur ab igne[19].
Nessuno contesta che, una volta dimostrata l’esistenza di Dio nonché l’identità del suo esse con la sua essenza, l’ente creato partecipi allo Esse increato, giacché è questo il teorema risolutivo di tutta la metafisica tommasiana dell’essere[20]. La discussione verte sul valore propriamente euristico del principio appena ricordato. I sostenitori dell’ermeneutica causale che abbiamo finora menzionati in questo paragrafo accettano che la partecipazione possa giocare un ruolo diciamo dispositivo nella quarta via, a condizione che venga totalmente subordinata alla causalità[21]. Per loro, il rapporto di partecipazione è come una proprietà del rapporto causale, per cui si può anche poggiare la quarta via sulle perfezioni per participationem, a condizione tuttavia di intenderle subito come perfezioni per aliud.
Al contrario, alcuni autori si mostrano assai più radicali su questo punto e rifiutano decisamente ogni validità alla nozione di partecipazione in via inventionis, la quale viene così drasticamente staccata dalla via iudicii. La ragione sarebbe che il rapporto di partecipazione, a differenza di quello di causalità, entra nella categoria della relazione, o sia perlomeno equiparabile ad una relazione, la cui conoscenza presuppone formalmente quella dei suoi estremi nonché del suo fondamento. Ad esempio, per affermare che questo uomo è il padre di quello, devo conoscerli tutti e due, ed avere inoltre la certezza morale che il primo generò il secondo. Similmente, per asserire che l’ente finito partecipa all’Essere infinito, dovrei avere dimostrato prima l’esistenza dello Ipsum Esse Subsistens, poi stabilito, con il principio del maximum, che tutti gli enti limitati gli debbono il loro atto di essere. Secondo questo modo di vedere, la quarta via deve prescindere totalmente dalla partecipazione, che cade sotto la stessa contraddizione della misura: se queste nozioni venissero adoperate per provare l’esistenza di Dio, sia l’essere come misura che l’essere come partecipato non partecipante, sarebbero entrambi principio di conoscenza, in quanto presupposti alla dimostrazione, ed oggetto di conoscenza, in quanto conclusi dalla dimostrazione, di modo che si darebbe, alla fine, una petitio principii[22]. Questa critica nega in particolare l’efficacità dimostrativa dei luoghi paralleli alla Summa theologiae, con la sola eccezione della Summa contra Gentiles, perché fanno leva unicamente sul rapporto di partecipazione, senza utilizzare la causalità come strumento dimostrativo; quindi valgono soltanto in prospettiva sapienziale, e non come argomenti filosoficamente probanti[23].
Pertanto, la spiegazione causale della quarta via si divide in due sotto-tipi, a seconda che include o esclude la partecipazione come una sua caratteristica secondaria; ma il punto cruciale che accomuna le due sotto-classi di fronte alle altre linee interpretative, è che la partecipazione non può mai fondare direttamente e da sola una dimostrazione dell’esistenza di Dio, la cui validità riposa essenzialmente e primariamente sulla causalità.
Come vengono allora recepite le prove anselmiane a partire da questa impostazione? Per quanto riguarda quelle del Monologion, esse possono senza dubbio essere considerate come una delle fonti della quarta via[24], alla pari delle due opere neo-platoniche commentate dall’Aquinate, il De divinis nominibus dello Pseudo-Dionigi e l’anonimo Liber de Causis inspiratosi a Proclo[25]. Però, va subito evidenziato che gli argomenti del Doctor Magnificus si svolgono nell’ambito di una metafisica essenzialistica dell’Uno. Infatti, il bonum, il magnum o lo stesso est (essere) vengono attribuiti alle cose direttamente in ragione dell’unico optimum, maximum e summum omnium, senza che le loro graduazioni siano prese in conto, cosicché il rapporto fra l’essere per aliquid delle stesse cose e l’essere unum per seipsum di Dio viene colto direttamente a partire dal suo termine:
Quoniam ergo cuncta quæ sunt, sunt per ipsum unum, proculdubio et ipsum unum est per seipsum[26].
Si pone che l’Uno è per sé stesso e che le cose sono per lui, ma non si spiega attraverso quale processo le cose sono. In questo modo, secondo il Philippe, Anselmo non esplicita, in questo brano come in tutti e quattro i primi capitoli del Monologion, il significato del verbo «essere»: benché connoti l’esistenza e, congiuntamente con la preposizione «per», la causalità, esso rimane in un sottofondo inesplorato, mentre tutto lo sviluppo dà invece molta rilevanza al rapporto intelligibile e formale che collega il molteplice all’unità[27]. Per questa ragione, l’assunzione di questi argomenti da parte di Tommaso non avviene senza una profonda trasformazione, che li riporta dal piano della partecipazione ideale a quello della causalità reale. La vicinanza materiale dei testi, peraltro non totale, non deve far quindi dimenticare la loro radicale alterità nel significato.
Se passiamo all’argomento del Proslogion, non si tratta più di divergenza, ma di contraddizione. In un tentativo di concordismo, si potrebbe ipotizzare che la quarta via proceda dai gradi di perfezione alla perfezione ideale assoluta, poi da quest’ultima al Perfetto reale, il che farebbe dello IQM il termine medio del ragionamento: l’ente graduato non può non essere pensato in riferimento ad un maxime ens; ora il maxime ens è tale solo se è reale, altrimenti svanisce nel nulla; dunque l’ente graduato necessita Dio come suo fondamento ultimo. Si dimostrerebbe l’esistenza di Dio passando attraverso l’idea di Dio, di tal guisa che la quarta via includerebbe necessariamente un passaggio dall’ideale al reale, assai vicino alla prova anselmiana. È chiaro che una simile tesi implicherebbe una palese incoerenza epistemologica dell’Aquinate, che si sarebbe avvalso di un procedimento argomentativo subito dopo averlo respinto, e questo poi in ambedue le sue opere maggiori fra tutte[28]. Ma tutt’al contrario, la quarta via rimane, in tutti i passi della sua logica profonda, ancorata nel reale. Il suo punto di partenza sta infatti nella perfezione trascendentale limitata, oggettivata attraverso l’esperienza della realtà, mentre la sua molla si trova nei primi principi dell’intelletto, che hanno pure una portata fondamentalmente realista. Sia quindi un ente qualsiasi di questo mondo. Esso presenta un doppio volto, giacché è qualcosa di perfetto in quanto ente, mentre è privato di perfezione in quanto limitato ad essere tale ente concreto; ora, in virtù del principio di non-contraddizione, niente può essere perfetto e privato di perfezione allo stesso tempo e sotto lo stesso aspetto; perciò l’ente deve essere limitato per un principio diverso da quello per cui è ente. Il principio limitante sarà di tipo «recipiente», mentre il principio perfezionante sarà di tipo «agente». Questo, a sua volta, deve essere esterno ed anteriore all’ente stesso, altrimenti questo sarebbe simultaneamente attuato, in quanto riceverebbe la sua attualità di essere, ed attuante, in quanto si darebbe questa stessa attualità; pertanto, l’ente limitato richiede necessariamente una causa agente che gli comunichi la sua perfezione. In virtù poi del principio di non-regressione all’infinito, bisogna fermarsi ad un primo Ente, che non abbia alcun limite, e che perciò sia Essere puro[29]. In tutto questo itinerario, la mente non ha cessato di muoversi dentro il reale: perciò nessun IQM è richiesto quando la quarta via viene interpretata in chiave causale.
[1] Cf. V. de Couesnongle, «Mesure et causalité dans la “quarta via”», Revue thomiste 58 (1958) 55-75 e 244-284; «La causalité du maximum. L’utilisation par saint Thomas d’un passage d’Aristote», Revue des sciences philosophiques et théologiques 38 (1954) 433-444. Nato a Quimper, in Bretagna, il P. Vincent Joyaut de Couesnongle O.P. fu professore di teologia nel convento di studio dell’allora provincia domenicana di Lione dal 1946 al 1966, nonché nello Institut Catholique della stessa città dal 1957 al 1966. Dal 1974 al 1983, egli fu Maestro Generale del suo Ordine.
[2] Cf. V. de Couesnongle, «Mesure et causalité dans la “quarta via”», 275 : «saint Thomas ne connaît pas d’autre raison du passage des degrés d’être au maximum que celle qui fait intervenir la causalité ; le plus et le moins se disent et existent par référence au maximum comme à leur cause nécessaire».
[3] Cf. ST I, q. 2 a . 2 c e ad 2.
[4] Scriptum super libros Sententiarum I, d. 3, divisio primae partis textus [corsivo nostro]. Per il testo completo, cf. supra, n. 2.
[5] Cf. V. de Couesnongle, «Mesure e causalité dans la quarta via», 62 : «Dans la majeure comme dans la conclusion, l’existence du très bon ne semble pas nécessitée comme terme de comparaison ou comme mesure, mais bien plutôt comme source de bontés limitées qui ne se suffisent pas par elles-mêmes».
[6] Cf. V. de Couesnongle, «Mesure e causalité dans la quarta via», 68: «ce qui mesure une chose fait connaître cette chose. Or il est clair que ce qui fait connaître doit être plus connu que ce qui est à connaître ; et cela veut dire que le principe de connaissance doit être connu antérieurement à ce qu’il fait connaître. Autrement, on affirmerait que le moins contient le plus, puisque ce qui est moins connu ferait connaître, et au même point de vue, ce qui est plus connu. Ce serait tomber dans la contradiction et saper par la base toute la doctrine de la science, qui trouve là son fondement».
[7] Cf. V. de Couesnongle, «Mesure e causalité dans la quarta via», 74: «Si dans l’hypothèse la référence à la mesure connue virtuellement permet de mesurer l’être, comment passer de cette connaissance virtuelle à une connaissance actuelle ? Le fait de mesurer ne saurait effectuer ce passage. Ce qui s’explicite, ce qui s’actualise dans le fait de mesurer, c’est, nous l’avons dit répété, la connaissance de la chose qu’on mesure, et non pas la connaissance de la mesure. Et si une connaissance virtuelle de la mesure a suffi pour mesurer, on n’est pas sorti, au terme de cette démarche, de la connaissance virtuelle». F. Van Steenberghen indirizza al P. Isaye la stessa obiezione in «À travers la littérature thomiste récente», Revue philosophique de Louvain 52 (1954) 143: «on peut reconnaître une certaine inadéquation entre l’ordre des êtres finis et l’idée d’être, mais cela est dû au fait que celle-ci appartient au domaine du conceptuel, tandis que l’ordre des êtres finis est une réalité concrète».
[8] Sintetizziamo quanto esposto in V. de Couesnongle, «Mesure e causalité dans la quarta via», 246.
[9] Si riconosce la disgiunzione proposta da Tommaso, ad es. in De ente et essentia, c. 4: «Omne autem quod conuenit alcui uel est causatum ex principiis nature sue, sicut risibile in homine; uel aduenit ab aliquo principio extrinseco, sicut lumen in aere ex influentia solis».
[10] Cf. CG II, c. 15, n. 3 (Marietti, n. 924): «Quod alicui convenit ex sua natura, non ex alia causa, minoratum in eo et deficiens esse non potest. [...] Si autem, natura vel quidditate rei integra manente, aliquid minoratum inveniatur, iam patet quod illud non simpliciter dependet ex illa natura, sed ex aliquo alio, per cuius remotionem minoratur. Quod igitur alicui minus convenit quam aliis, non convenit ei ex sua natura tantum, sed ex alia causa».
[11] Cf. Aristotele, Categorie, 5, 3 b 33 – 4 a 9 (sostanza); 8, 10 b 26 – 11 a 14 (qualità).
[12] Cf. V. de Couesnongle, «Mesure e causalité dans la quarta via», 257: «Car l’esse d’une chose donnée est comme constitué par les principes de l’essence et, inversement, tout ce qui est dans un être existe, est en acte d’être. Aussi bien est-ce le couple puissance et acte qui rend le mieux les rapports entre essence et existence que nous voulons préciser. A considérer la réalité en toute sa profondeur, c’est l’existence qui se tient du côté de l’acte et l’essence du côté de la puissance. L ’essence ne détermine, n’actue que dans l’ordre de la spécification, non pas dans celui de l’existence qui est le plus formel. Un passage célèbre du De Potentia [q. 7 a . 2 ad 9] l’affirme avec netteté. L’esse est, de tout, ce qu’il y a de plus parfait ; l’esse est l’actualité de tous les actes et, à cause de cela, la perfection de toutes les perfections».
[13] CG II, c. 52, n. 2 (Marietti, n. 1274). Cf. QD De potentia, q. 3 a . 5c: «ea quae positive secundum magis et minus dicuntur, hoc habent ex accessu remotiori vel propinquori ad aliquid unum: si enim unicuique eorum ex seipso illud conveniret, non esset ratio cur perfectius in uno quam in alio inveniretur».
[14] V. de Couesnongle, «Mesure e causalité dans la quarta via», 266.
[15] Cf. R. Garrigou-Lagrange, De Deo uno, Commentarium in primam partem S. Thomae, Desclée de Brouwer, Paris 1938, 119: «perveniendum est non solum ad conceptionem idealem Boni supremi, ad modum exemplaris a nobis concepti, sed ad Bonum supremum vere existens extra mentem, et vere, exercite, causa aliorum entium. [...] Hoc argumentum [= la quarta via] differt absolute ab argumento anselmiano, non enim incipit ab idea entis perfecti, sed a realibus perfectionis gradibus in mundo existentibus; ideoque via causalitatis exemplaris et efficientis Ens perfectissimum attingit, prout entia imperfecta actualiter existentia a reali perfectionis Fonte originem trahunt».
[16] Cf. L. Elders, La metafisica dell’essere di san Tommaso d’Aquino in una prospettiva storica, trad. it. di A. Cacopardo, vol. II, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 1995, 153: «Dalla nostra discussione risulta chiaro che quest’ultima parte in questione è necessaria. La prima parte della Quarta Via si trova al livello della causa formale e conclude che l’occorrenza di una perfezione in un grado limitato mostra che esiste un massimo. Ciò non chiarisce ancora, senza ricorrere a un’analisi ulteriore, in che modo questo massimo è la causa della perfezione limitata che noi osserviamo».
[17] Su questo punto, cf. M. Annice, «Logic and Mystery in the Quarta Via of St. Thomas », The Thomist 19 (1956) 22-58, in part. 57: «As to whether this process is ontologically valid, i.e., verificable in reality, we do not strictly and conclusively prononce upon until we have demonstrated the absolute need of an existing Subsistent Perfection as the proper efficient Cause of limited finite being and its transcendental properties». Stesse considerazioni in J. Bobik, «Aquinas Fourth Way and the Approximating Relation», The Thomist 51 (1987) 17-36, in part. 33: «And a return to the text of the Fourth Way […] will confirm “diligenter intuenti” that it is exemplary causality which functions (though without explicit mention) in the Fourth Way as it argues to the existence of a most, i.e., the Maxime Ens; and that it is agent causality which functions (though without explicit mention) in the Fourth Way as it argues that the Maxime Ens, already shown to exist, is the cause of the being, goodness, and the like, in all else, i.e., in the more and the less».
[18] Per un’analisi della quarta via alla luce del principio dell’ordine, la cui esposizione dettagliata esula dal perimetro dell presente ricerca, cf. R. Lavatori, «La quarta via di S. Tommaso d’Aquino secondo il principio dell’ordine», Divinitas 18 (1974) 62-87. Notiamo a p. 82: «Inoltre fra gli elementi e il principio esiste una unione, secondo la quale essi sono uniti nella medesima formalità, pur rimanendo distinti. Questa unione consiste nell’unità dei due soggetti secondo l’atto. Questa unità nell’atto è stata chiamata propriamente comunicazione. Essa comporta un soggetto in quanto termine della comunicazione e che possiede la potenza della recezione; dall’altra parte comporta l’esistenza del soggetto agente, che abbia in sé la capacità di operare secondo l’atto».
[19] ST I, q. 61 a . 1c.
[20] Cf. ad es. il noto testo di ST I, q. 44 a . 1c.
[21] Cf. in part. V. de Couesnongle, «Mesure et causalité dans la “quarta via”», 245-246; F.P. Muñiz, «La “quarta via” de Santo Tomás para demostrar la existencia de Dios», Revista de Filosofía (Madrid) 3 (1944) 418 : «De donde se infiere que el principio expuesto puede también ser formulado de esta otra manera: Toda perfección per participationem, o realizada sólo secundum partem, et non secundum totam ejus possibilem plenitudinem, es necessariamente causada».
[22] Il P. M. Guérard des Lauriers, dedica una lunga nota polemica al principio di partecipazione in La preuve de Dieu et les cinq voies, [Cathedra sancti Thomae, 1], Pontificia Università Lateranense, Roma 1966, nota 31, 28-35, in part. 30: «le “principe de participation” est l’expression immédiate d’un jugement. Ce jugement doit, selon nous, être rationnellement fondé sur la preuve de l’existence de Dieu ; mais, objectivement, il procède immédiatement de la perception de l’esse, lequel est analogiquement “un” dans la créature participante et dans le Créateur participé. Autrement dit, l’intellect humain n’ayant pas la puissance nécessaire pour saisir d’emblée l’existence de Dieu, a encore moins celle de saisir d’emblée le rapport entre l’Existant par Soi et l’existant créé. Mais, supposé prouvé “Dieu EST”, alors le “principe de participation” est tout simplement […] la norme de l’esse».
[23] Per M.-D. Philippe, De l’être à Dieu, Topique historique, vol. II, Philosophie e foi, Téqui, Paris 1978, 523: «Mais n’oublions pas que dans aucun de ces lieux “parallèles” (à l’exception du Contra Gentiles, ch. 13 […]), saint Thomas n’a l’intention de démontrer l’existence de Dieu». La ragione è che il principio di partecipazione ivi adoperato non ha alcuna portata inventiva, cf. ibid., 540 : «Si intéressant et élevé que soit cet exposé de sagesse, qui nous fait découvrir toute l’ampleur du regard contemplatif de saint Thomas sur le mystère de Dieu, il ne faut pas vouloir y trouver la même rigueur métaphysique que dans celui de la question 2 de la Somme. Ce serait confondre ce que saint Thomas lui-même nous interdit de confondre : la rigueur d’une démonstration quia et la souplesse d’un regard contemplatif de sagesse. Si, lorsqu’il s’agit de la démonstration quia, saint Thomas se sert explicitement de la causalité, à la manière dont Aristote s’en sert, lorsqu’il s’agit d’un regard contemplatif de sagesse il assume la vision platonicienne de la participation. Nous ne pouvons donc pas éclairer les cinq voies de la Somme par ce que dit saint Thomas dans le Prologue du Commentaire de Saint Jean». Si vedono considerazioni simili in De l’être à Dieu, De la philosophie première à la sagesse, Téqui, Paris 1977, 177.
[24] Cf. F. P. Muñiz, «La “quarta via” de Santo Tomás para demostrar la existencia de Dios», Revista de Filosofía (Madrid) 4 (1945) 94-97.
[25] Cf. al riguardo F. Van Steenberghen, «Prolégomènes à la “quarta via”», Rivista di Filosofia Neo-Scolastica 70 (1978) 99-112.
[26] Monologion, c. 4, 16 l . 18-19.
[27] Cf. M.-D. Philippe, De l’être à Dieu, Topique historique, vol. II, Philosophie et foi, 318-319: «La parenté de ces raisonnements du Monologion est nette : la diversité des réalités bonnes (ou grandes), la diversité de ce-qui-est, la diversité des natures (ou essences) exige de poser, en chaque ordre, l’un qui en est le sommet, le summum. […] Ces raisonnements constituent donc bien une découverte successive de l’un-sommet au niveau de la manière d’être, de ce-qui-est et de l’essence. Cette découverte se fonde sur la constatation d’une dépendance dans ces trois ordres. Saint Anselme ne précise pas assez s’il s’agit de causalité ou de participation ; mais il est assez clair que nous sommes ici dans un climat où c’est la recherche de l’Un qui prime et où, par le fait même, on ne peut distinguer parfaitement le caractère propre de la causalité de celui de la participation».
[28] Cf. F.P. Muñiz, «La “quarta via” de Santo Tomás para demonstrar la existencia de Dios», Revista de Filosofía (Madrid) 4 (1945) 77-82.
[29] Sul realismo della quarta via, cf. V. de Couesnongle, «Mesure et causalité dans la “quarta via”, 279: «La dialectique des degrés s’appuie sur la métaphysique de l’être et sur les principes d’identité et de causalité; pour cette raison, elle mérite d’être appelée la preuve de Dieu la plus métaphysique qui soit. L’esprit passe en effet des degrés d’être à l’Être au maximum en se référant à “ce que c’est que l’être”. L’être gradué et limité ne réalise pas pleinement ce c’est que l’être. L’Ipsum esse subsistens le réalise, mais son existence n’est affirmée que comme la cause nécessaire de l’être gradué. Ainsi se trouvent radicalement évitées les contradictions de saint Anselme». Vedasi pure F.P. Muñiz, «La “quarta via” de Santo Tomás para demonstrar la existencia de Dios», Revista de Filosofía (Madrid) 3 (1944) 419-421.
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