Benozzo Gozzoli, Le triomphe de saint Thomas d'Aquin, 1471

lundi 1 novembre 2010

Causalità divina e partecipazione operativa: un primo abbozzo

Presentiamo oggi ai nostri lettori un abbozzo dello studio che presenteremo nel convegno della Facoltà di Filosofia del Pontificio Ateneo Regina Apostolorum, che si terrà il 19 novembre 2010.

         Il nostro problema
  1. In Dio, l’essere, l’essenza, e la bontà sono lo stesso.
  2. Nella creatura, l’ente non è la sua essenza, e l’ente buono non è la sua bontà.
  3. Inoltre, l’ente creato è ens simpliciter per l’atto di essere in quanto sostanziale, mentre è bonum simpliciter solo per una perfezione ultima, al di là dell’attualità dell’essenza sostanziale.
    Vogliamo investigare, in questo studio, in nesso di consecuzione fra la differenza fra lo ens e lo esse, da una parte, e quella fra lo ens e la bonitas d’altra parte. A questo scopo procediamo attraverso tre tappe, indicate dai titoli dei paragrafi.

§ 1       La triplice causalità creatrice e la triplice scansione dell’ente creato
Nella sua fase propriamente sapienziale, la metafisica considera il proprio subiectum, l’ente in quanto ente, a partire dal suo «principio e causa» supremo, che è Dio, Ipsum esse subsistens. Ora Dio è causa dell’ente creato secondo tutti e tre i tipi di causalità attuante estrinseca: efficiente, esemplare, finale. Egli è causa efficiente della creatura, in quanto le comunica il suo actus essendi, che è una partecipazione al suo Essere puro, secondo una determinata misura, che è la sua essenza sostanziale. Quest’ultima, poi, trova il suo esemplare nell’Idea divina, che coincide realmente con lo stesso Esse subsistens. Partecipante all’Essere divino secondo una certa somiglianza statica all’Essenza divina, la creatura trova ancora il suo fine ultimo nell’assimilazione dinamica alla Bontà divina, a seconda delle sue capacità operative, naturali o soprannaturali. Pertanto, il supposto in atto secondo manifesta la causalità divina secondo tre vestigi: per il suo esse partecipato nella sua sostanza, riflette la causalità divina efficiente; per l’essenza che questo esse attua, rispecchia la causalità divina esemplare; e per l’ordine ad un fine che è come iscritto in / e prescritto da tale sostanza, esso significa la causalità divina finale.

§ 2      Lo exitus della creatura e la partecipazione
            Dall’opera di Cornelio Fabro Partecipazione e causalità, abbiamo imparato che il fulcro dell’ente creato nonché della sua dipendenza creaturale sta precisamente nel suo esse, considerato come atto intensivo ed emergente. Esso è intensivo, perché è la fonte di tutte le perfezioni di cui il Creatore renderà partecipe la sua creatura; ed è emergente, perché supera, in quanto esse ut actus, i diversi strati di esse in actu che si riscontrano nel supposto concreto. Nella sua vastissima opera, il Fabro si ferma soprattutto sulla partecipazione trascendentale, che si realizza tramite il plesso di esse e di essentia, poi sulla partecipazione predicamentale, che è posteriore alla contractio dello ens secondo una determinata essentia; nei termini della nostra problematica, egli chiarisce quindi, tramite la dottrina della partecipazione, la causalità divina efficiente e quella esemplare, per cui ci ha lasciato una metafisica assai profonda dello exitus. Però ci sono pure degli accenni alla partecipazione operativa, ultima espansione dello esse nell’ente.

§ 3      La partecipazione operativa e il reditus della creatura
            Pensiamo che l’impresa fabriana va proseguita in una metafisica del reditus, che dovrà risolvere due quesiti legati, ma distinti: perché la sostanza creata non può non essere ordinata ad un’operazione (omnis substantia est propter suam operationem, CG I, c. 45 n. 6) tramite la quale essa perviene alla sua assimilatio ad Deum ? E come si compie questo ordo ad finem ? La chiave di soluzione si trova nell’inadeguatezza fra lo esse ut actus e lo esse in actu, che risulta, nella creatura, dalla stessa composizione reale di esse e di essenza. Proprio perché l’ente creato non è il proprio atto di essere, ma lo ha, si dà una differenza ulteriore, in esso, fra la sostanza da una parte, e l’operazione, d’altra parte, cioè fra l’essere in atto primo, e l’essere in atto secondo.
            In conclusione, si mostra brevemente come i guadagni di questa investigazione metafisica risultano proficui per l’etica fondamentale, nonché per la teologia dogmatica.

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